L’uomo è stato immortalato a Civita, comune dell’Arbëria (la comunità degli albanesi d’Italia) in provincia di Cosenza. Quell’uomo anziano “vestito in modo elegante”, che attende con mitezza che qualcuno compri il suo raccolto, è stato descritto dal Corriere della Sera come una sorta di personificazione della dignità del Sud.

Ma torniamo alla fotografia: essa cristallizza, si diceva, la realtà, la rende statica e immodificabile. Ma per fortuna l’antropologia critica sa che la fotografia ha avuto un ruolo in quella disciplina (e oltre): produrre certezze e ridurre la complessità entro un’ottica funzionale allo sviluppo della società borghese. Dietro il lirismo, si cela un programma “scientifico” di alterizzazione, di produzione dell’Altro. Ne dà testimonianza Renato Fucini, che quando si reca a Napoli e ne scrive un reportage (siamo nel 1877) colleziona una tale teoria di similitudini con l’Oriente da far pensare al lettore che stare a Napoli fosse come stare a Costantinopoli o al Cairo. Ma da dove aveva preso questi raffronti Fucini? “Io non conosco l’Oriente, né conosco la Spagna altro che dalle descrizioni dei viaggiatori, dai libri letti, dai dipinti e dalle fotografie; ma se questo può servire, come io credo, a dare un’idea abbastanza esatta di quelle regioni…” etc. Fucini non era mai stato a Costantinopoli, gli bastava desumere le somiglianze dai racconti di Edmondo De Amicis o dalle foto. Insomma, per conoscere l’Altro, sembrano dirci costoro, basta guardarlo attraverso le fotografie. In realtà, esse riproducono ciò che vogliamo sentirci dire, anche al di là della buona fede di chi personalmente ha eseguito lo scatto. Il mediterraneismo che la foto produce restituisce un Sud ipostatizzato, lirico, fuori dalla Storia. Mentre la Calabria veniva scossa dalle rivolte contadine per la terra che – a cavallo tra la prima e la seconda metà del Novecento, ignorate e screditate da intellettuali e dirigenti progressisti (con l’eccezione di persone come Panzieri o Cinanni) – producevano sconquassi politici, le fotografie di Patellani rappresentavano, come ci racconta Francesco Faeta in alcuni suoi studi, un.............
Sud riottoso verso la democrazia. Se tutto ciò era noto a un occhio critico allenato, oggi è tornato come inversione dello stigma e capovolgimento del pregiudizio: ciò che era mediterraneismo come produzione e rafforzamento dello stereotipo negativo, si è rovesciato in elemento identitario positivo. Ed ecco che il contadino – arcaico nella sua posa, “dignitoso” nella sua mise – che una volta avrebbe rappresentato il Sud arretrato e rurale, fuori dal progresso, oggi è l’incarnazione di un Sud altrettanto lirico, oleografico, il cui riscatto non passa dalle lotte ma dalla meme-izzazione della realtà.
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